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Dalla Great Resignation al Great Regret: come evitare entrambi

Negli ultimi anni emergono nuovi fenomeni che interessano il mercato del lavoro che vanno spesso a modificare - se non a stravolgere - abitudini, processi e performance delle aziende. La cura del dipendente si sta rivelando fondamentale. Ma, d’altra parte, cosa è più importante per le persone?

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Lo abbiamo letto e detto centinaia di volte – ed è vero: il lungo periodo della pandemia ha cambiato radicalmente il nostro modo di approcciare la vita, sia a livello personale sia a livello professionale.

Concentrandoci sui temi lavorativi, negli ultimi tre anni abbiamo visto susseguirsi diversi fenomeni di ampio genere: dal boom (obbligato e spesso mal gestito) dello smartworking/home working (la differenza esiste e va considerata!), alla volontà di cercare nuovi stimoli e ambienti migliori che hanno portato migliaia di persone alla Great Resignation o, parallelamente, al quiet quitting.

Quando si parla di questi due fenomeni si fa riferimento, nel primo caso, a un progressivo e costante aumento delle dimissioni da parte dei dipendenti delle aziende, mentre nel secondo alla totale assenza di motivazione verso l’assunzione di nuove responsabilità lavorative piuttosto che alla semplice aggiunta di uno sforzo lavorativo ulteriore rispetto a quello previsto contrattualmente.

Questo ha portato conseguenze logistiche non indifferenti e spesso frustranti per aziende e manager che si sono trovati a dover reinventare i loro team e i processi e per le persone che, spesso senza avere le idee chiare, si sono ritrovate a prendere decisioni troppo frettolose, salvo poi pentirsene, il cosiddetto Great Regret. Lo dice La Stampa, che sottolinea come oltre il 40% delle persone che hanno cambiato lavoro nell’ultimo anno tornerebbe indietro "Great Regret": il 41% dei lavoratori che ha cambiato lavoro si è già pentito (lastampa.it)).

E oggi?

La situazione attuale sembra essere leggermente più stabile. Molte aziende si sono attrezzate rapidamente offrendo maggiori attenzioni e servizi ai loro dipendenti in termini di Wellbeing.

Come indicato dalla ricerca di McKinsey (Fuga dal lavoro: dalla Great Resignation al Great Burnout - Il Sole 24 ORE (ampproject.org), e seguendo l’ottimo ragionamento dell’articolo, va però sottolineato come gli intenti siano più che lodevoli ma che, senza voler minimizzare, non possano essere sufficienti un corso di yoga o un training in più a mettere le persone nelle condizioni migliori per sentirsi soddisfatte e a esprimere appieno il loro potenziale con positivo impatto sulle performance aziendali.

“Le persone che assumiamo e che lavorano in WeHunt devono vedere chiaro un progetto per il loro futuro, basato su fatti concreti e non solo sulla fiducia: servono onestà e idee chiare dal giorno uno, e questo perché le persone meritano rispetto”, dice Francesco Impellizzeri – Director della Practice Sales&Marketing di WeHunt.

Continua Impellizzeri: “Uno dei nostri valori è l’approccio YouFirst, che si traduce anche in attività ludiche, ricreative o comunque distaccate dalla pura operatività ma, soprattutto, nel provare a far sentire le persone davvero accolte e indirizzate fin dal primo giorno verso un obiettivo comune che sia per loro soddisfacente. Tali punti di arrivo potranno fisiologicamente cambiare nel tempo, ma se questo avverrà con una base di ascolto, attenzione e coerenza, sarà secondo noi più semplice contenere i fenomeni sopracitati”, conclude Impellizzeri.